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Il musicking come immunogeno culturale. Musicoterapia, psicologia della salute e sanità pubblica.

  • evenruud
  • 28 set
  • Tempo di lettura: 16 min

Aggiornamento: 31 ott

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Even Ruud


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Prima di tutto, vorrei ringraziare gli organizzatori per l’invito a venire a Verona. È un grande piacere per me essere qui e poter condividere alcune idee sullo sviluppo e il futuro della musicoterapia. Ho deciso di provare a parlare in italiano – anche se non lo parlo perfettamente – e spero che questo non renda difficile capire ciò che voglio comunicare. Naturalmente, potete anche seguire l’interprete, oppure leggere il mio intervento – in italiano o in inglese – sul mio sito: evenruud.net


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Per prima cosa vorrei fare una breve contestualizzazione storica di musicoterapia. La musicoterapia, dalla metà degli anni Cinquanta, ha attraversato un’evoluzione. All’inizio la ricerca si concentrava sugli effetti della musica sul corpo e sulla biologia, con studi sperimentali sulle reazioni fisiche all’ascolto. Successivamente l’attenzione si spostò sulla psicologia dell’apprendimento, dando origine a una musicoterapia “comportamentale” orientata a risultati misurabili. Parallelamente nacque la musicoterapia “analitica”, incentrata sugli aspetti inconsci dell’esperienza musicale. Col tempo si svilupparono approcci che valorizzano la crescita personale e spirituale, come la musicoterapia “umanistica” ed “esistenziale”, fino a prospettive “transpersonali”. Infine, Bruscia individua nell’approccio “culturale” l’ultimo stadio di questo percorso. Oggi convivono tutte queste forme: neuroscienze, pratiche comportamentali, analitiche, umanistiche, transpersonali e approcci culturali, ad esempio nella musicoterapia comunitaria:  Community music therapy.


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Visto che questo percorso sembra essere ancora in evoluzione, possiamo allora chiederci: quale sarà il prossimo passo? Forse nuove prospettive teoriche capaci di ampliare ancora di più il campo della musicoterapia. Secondo me, ci stiamo ora avvicinando a un’ulteriore fase: una prospettiva più sociologica. Con questo contesto propongo di considerare la musicoterapia come una risorsa per la salute pubblica. Intendo dire che possiamo usare la musica, nella vita quotidiana, per regolare le nostre emozioni e per promuovere il nostro benessere soggettivo.


In questa prospettiva, vorrei collegare due idee: la teoria della risonanza di Hartmut Rosa e la mia proposta di considerare la musica come un immunogeno culturale – cioè qualcosa che può rinforzare la nostra salute e il nostro senso di connessione con il mondo.

 

Introduzione

La musicoterapia, grazie alla pratica, alla formazione professionale e alla ricerca, ha ormai dimostrato in molti modi che la musica può avere un ruolo importante nel migliorare la salute di diverse persone e gruppi. Le prove arrivano sia dagli studi scientifici, sia dalle riflessioni teoriche, sia dalle esperienze dirette dei musicoterapeuti. Tutto questo ci mostra come la musica possa aiutare le persone a ritrovare energia, sentirsi più attive e capaci di scegliere, trovare un posto nella comunità, e dare senso e speranza alla propria vita.


Questi effetti non riguardano solo la musicoterapia in senso stretto: anche nell’uso quotidiano della musica, ognuno di noi può trovare un sostegno per mantenere o migliorare la propria salute e qualità di vita. Le conoscenze che derivano dal lavoro con persone in situazioni di vulnerabilità sono molto utili anche per la promozione della salute e la prevenzione, temi centrali nella psicologia della salute e in altre discipline. Questo è particolarmente importante oggi, in un mondo dove aumentano i problemi legati allo stress, all’ansia, alla depressione e ai disturbi del sonno. Per questo motivo, proponiamo di guardare alla musicoterapia anche come a una forma di rimedio medico popolare, pronta a essere integrata nelle pratiche di salute pubblica.


La prima grande domanda che questa lezione vuole affrontare è: in che modo la musica può contribuire a una vita migliore, alla salute e al benessere quotidiano? E come questa conoscenza può essere utile alla psicologia della salute? Dobbiamo chiederci poi come la musica, intesa come risorsa esistenziale e fonte di significato, possa sostenere la qualità della vita, soprattutto alla luce del concetto di “risonanza”.


In seguito, presenterò prima alcuni temi attuali nella psicologia della salute, per mostrare come la musicoterapia possa offrire risposte concrete alle sfide sanitarie delle società occidentali moderne. Poi introdurrò la mia idea della musica come “immunogeno culturale” e illustrerò i quattro modi principali in cui il fare musica può contribuire alla salute e al benessere. Infine, mi soffermerò sulla sociologia di Hartmut Rosa e sulla sua teoria della risonanza, che considero particolarmente rilevante per il tema di questa conferenza: Risonanze.


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Il campo della psicologia della salute

La psicologia della salute studia come i nostri pensieri, emozioni e comportamenti influenzino la salute e la malattia. Si occupa anche di come fattori sociali e culturali possano incidere sul nostro benessere. A mio avviso, in questo campo c’è ancora poca attenzione agli effetti positivi delle attività culturali e artistiche – e in particolare del fare musica – per la salute.


In questa lezione parto dal concetto di “immunogeni comportamentali”, introdotto dallo psicologo americano Joseph Matarazzo negli anni ’80. Lui fu uno dei primi a mostrare quanto psicologia e medicina potessero lavorare insieme per migliorare la salute pubblica. Documentò come comportamenti salutari potessero ridurre in modo significativo i rischi legati alle grandi malattie dell’epoca, come quelle cardiache e i tumori. In quel periodo, le malattie infettive stavano diminuendo grazie ai progressi della medicina e a migliori condizioni sociali, ma le nuove sfide erano soprattutto collegate a stili di vita poco sani e a fattori di stress.


Matarazzo parlò anche di “patogeni comportamentali”, cioè abitudini nocive che aumentano il rischio di morte (come fumare, mangiare male o vivere sotto stress cronico). La sua idea innovativa fu di proporre il contrario: comportamenti che proteggono e rafforzano la salute, gli “immunogeni comportamentali”. Qui rientrano azioni semplici e quotidiane come seguire una buona alimentazione, smettere di fumare, dormire bene, non abusare di alcol, curare l’igiene orale e allacciare la cintura in auto.


Negli anni ’80 le preoccupazioni principali erano infarti e tumori. Oggi, invece, molte sfide riguardano disturbi come ansia, depressione, insonnia, stress e dolore cronico. Spesso vengono considerati problemi individuali, ma in realtà hanno molto a che fare con le condizioni sociali: disuguaglianze economiche, poca possibilità di decidere sulla propria vita, isolamento, perdita di legami sociali. Tutto questo può generare alienazione, stress e senso di vuoto.


In questo contesto, i comportamenti “patogeni” possono scatenare risposte “immunogeniche” di tipo culturale. Un esempio chiaro lo abbiamo visto durante la pandemia di Covid-19: l’isolamento e la chiusura in casa furono vissuti come una forma di stress e solitudine. Eppure, in Italia, molte persone reagirono cantando dai balconi. Quel gesto musicale collettivo diventò una risposta salutare e carica di significato a un’esperienza negativa, capace di ridurre ansia, noia e senso di isolamento.

Questo ci ricorda che anche malattie con cause biologiche ben note, come il Covid-19, hanno conseguenze psicologiche e sociali. E alcune di queste possono essere affrontate proprio attraverso la musica e altre pratiche culturali.


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Immunogeno culturale e antigeni musicali

Vorrei ora approfondire l’idea di “immunogeno culturale”, che riprende e amplia il concetto di “immunogeno comportamentale”. In pratica, significa considerare le pratiche artistiche e culturali – soprattutto la musica – come risorse che possono favorire la salute, al pari dei comportamenti salutari più tradizionali come una buona alimentazione o il fare attività fisica.


Per dialogare meglio con il linguaggio della psicologia della salute e della medicina, uso volutamente metafore prese dal mondo medico. Parole come immunogenopatogeno e antigene ci aiutano a spiegare come la musica possa funzionare come un “anticorpo culturale” contro le difficoltà della vita. In questa prospettiva, fare musica diventa un modo concreto per prendersi cura di sé e rafforzare il benessere.

Parlo quindi di “antigeni musicali” per descrivere i principali modi in cui la musica sostiene la salute. Ne ho individuati quattro:


  1. Regolazione emotiva – usare la musica per gestire e trasformare le emozioni.

  2. Agency – sentirsi attivi e capaci di influenzare la propria vita.

  3. Risorsa sociale – la musica come occasione di incontro, legame e appartenenza.

  4. Costruzione di significato – la musica come via per dare senso, profondità e valore alla propria esperienza.


Questi aspetti sono intrecciati con altri fenomeni importanti, come il senso di identità, l’autoefficacia, le emozioni condivise, le reti sociali, ma anche la spiritualità e l’apertura a qualcosa di più grande. Nel “laboratorio” della musicoterapia – cioè attraverso la pratica clinica e la ricerca – possiamo osservare in che modo questi processi prendono forma. In particolare, mi concentrerò sull’ultimo punto: il legame tra esperienza estetica, ricerca di significato e salute esistenziale, in dialogo con la teoria della risonanza del sociologo Hartmut Rosa.


Parlare di musica come immunogeno culturale significa dunque sottolineare il suo ruolo fondamentale nel proteggere e rafforzare la qualità della vita. Nonostante la musica sia da sempre una “medicina popolare” nelle pratiche quotidiane – dall’ascolto ai concerti fino al fare musica insieme – è ancora poco riconosciuta nel nostro sistema di salute pubblica. Eppure, le ricerche e le esperienze cliniche dimostrano chiaramente il suo valore terapeutico, mentre la presenza costante della musica nella vita di tutti i giorni conferma quanto essa sia una risorsa potente e diffusa.


Quattro Antigeni Musicali

Un immunogeno culturale è un'applicazione metaforica del termine “immunogeno” tratto dalla scienza medica. Durante la pandemia di COVID-19, abbiamo imparato a conoscere come gli scienziati abbiano sviluppato nuovi vaccini contenenti vari antigeni per proteggerci dal virus. Un antigene è una sostanza che ci protegge dall’essere contaminati da un virus minaccioso. In senso metaforico, un immunogeno culturale è un tipo di comportamento all’interno della sfera culturale — in particolare della musica — che può svolgere la stessa funzione di un antigene, non a livello biologico ma psicologico o simbolico. Sebbene esistano ricerche interessanti nell’ambito della psicoimmunologia su come l’ascolto della musica possa influenzare il nostro sistema immunitario, questo non è il mio focus qui. Discuterò, tuttavia, di come esista una forte connessione tra l’esperienza di una vita significativa e una maggiore motivazione a prendersi cura della propria salute e una minore incidenza di malattie legate allo stress (Schnell, 2021).


Ho cercato immunogeni culturali legati al comportamento musicale. Questo include l’ascolto della musica, il suonare e imparare uno strumento, la partecipazione a cori o al canto condiviso, l’esibirsi in gruppi rock e altre formazioni musicali, nonché la frequentazione di concerti — e come tutto ciò influisca sulla salute soggettiva e sul benessere. Ho identificato quattro categorie di antigeni, che approfondirò in seguito: vitalità e regolazione emotiva, agency, senso di appartenenza e esperienza di significato (Ruud, 2020).


Vitalità, e la regolazione emotiva

Vorrei soffermarmi brevemente sui primi tre “antigeni musicali”, per poi dare più spazio al concetto di risonanza di Hartmut Rosa. Partiamo da due elementi centrali: la vitalità e la regolazione emotiva.


Negli ultimi anni molte ricerche hanno mostrato quanto la musica sia legata alla nostra vita emotiva. La musica ci aiuta a riconoscere le emozioni, a dare loro un nome, a tollerarle e a esprimerle. Può rafforzare la consapevolezza di ciò che sentiamo, ma anche sfidarci, spingendoci a entrare in contatto con emozioni che magari preferiremmo evitare.

Grazie alle nuove tecnologie – internet, streaming, smartphone – la musica è diventata accessibile in ogni momento della giornata. Possiamo usarla come una sorta di “tecnologia personale” per gestire stati d’animo ed energie: per calmarci, per motivarci, per trovare concentrazione o per cambiare umore.


La regolazione emotiva è un tema chiave in psicologia, ed è strettamente collegata alla vitalità, cioè al sentirsi vivi ed energici. Regolare le emozioni significa saperle riconoscere e accettare, ma anche imparare a modificarle. Possiamo, ad esempio, ridurre lo stress ascoltando un brano rilassante, oppure trasformare un momento di tristezza in uno più luminoso con una canzone che ci tira su.


Tutti noi abbiamo a disposizione diverse strategie e tecniche per gestire le emozioni: fare una passeggiata, correre, scrivere un diario, meditare, dormire, rilassarsi in un bagno caldo… Ma la musica occupa un posto speciale in questo repertorio. Grazie alla sua varietà di generi, artisti e brani, è un mezzo potentissimo per regolare i nostri stati d’animo.

Molti di noi lo sperimentano ogni giorno: scegliamo le playlist in base all’umore che vogliamo evocare – “musica per rilassarsi”, “per allenarsi”, “per concentrarsi”. L’impegno musicale può assumere tante forme: ascoltare le nostre canzoni preferite, suonare da soli o con altri, cantare in un coro, ballare o partecipare a un concerto. In tutti questi casi, la musica diventa uno strumento efficace per sentirci meglio, per ricaricarci e per connetterci con noi stessi e con gli altri.


Agency

Il secondo “antigene musicale” riguarda l’agency, cioè la capacità di sentirsi attivi, competenti e protagonisti della propria vita. Da tempo, la musicoterapia osserva come il fare musica (musicking) aiuti le persone a sviluppare abilità, rafforzare l’autostima e costruire un senso di realizzazione.


La musica diventa uno strumento potente di espressione di sé e di costruzione dell’identità: ci permette di connetterci con le nostre radici culturali, con i nostri valori personali e con le esperienze condivise in una comunità. In questo modo, la musica non solo ci aiuta a stare meglio, ma rafforza anche la capacità di compiere scelte salutari. Agency, appartenenza e significato sono strettamente collegati: l’una alimenta l’altra.


Un esempio utile per capire questo meccanismo viene dalla teoria dell’auto-efficacia di Albert Bandura: quando crediamo di poter fare qualcosa, aumenta la probabilità che ci riusciamo davvero. Lo stesso vale per il concetto di empowerment, che significa acquisire potere e autonomia nelle nostre vite. La musica contribuisce a questo processo, aiutando le persone a sentirsi più sicure, a costruire fiducia in sé stesse e a sviluppare un senso di appartenenza sociale.


Appartenenza e partecipazione sociale

Un’altra caratteristica fondamentale della musica è la sua capacità di creare connessione e appartenenza. Uno dei grandi problemi della società di oggi è il diffuso senso di isolamento sociale: solitudine e mancanza di legami sono vere e proprie minacce per la salute.


La pratica musicale amatoriale offre una risposta concreta: cori, band, orchestre e altri ensemble permettono alle persone di partecipare, di incontrarsi e di sentirsi parte di una comunità. In questo senso, la musica diventa un “antigene culturale” capace di contrastare gli effetti negativi della solitudine.


Le esperienze della “community music” lo dimostrano chiaramente: la musica può favorire l’integrazione, creare legami e rafforzare le reti sociali. In altre parole, fare musica insieme non è solo un piacere, ma anche un modo per prendersi cura della propria salute e di quella collettiva.


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Significato, trascendenza e salute esistenziale

Fare musica — o vivere la musica — non porta solo energia, appartenenza e crescita personale. Può anche offrirci esperienze profonde di significato e persino momenti di trascendenza, quelli in cui ci sentiamo toccati nel profondo, come se tutto trovasse un senso speciale. Spesso questi momenti ci portano a un senso di risonanza, un concetto che il sociologo Hartmut Rosa usa per spiegare come, in certi istanti, ci sentiamo davvero in connessione con il mondo. In psicologia della salute, questi vissuti fanno parte di quella che chiamiamo salute esistenziale.


Ma cosa significa salute esistenziale? Non è solo “non essere malati”, ma dare senso alla propria vita, sentirsi orientati, connessi e “a casa nel mondo”. Secondo Tatjana Schnell (The Psychology of Meaning in Life), il significato non è già pronto: lo creiamo noi, attribuendo valore alle esperienze. Ciò che è significativo per me può non esserlo per altri, e anche per me può cambiare nel tempo. Il significato è vivo, si costruisce nelle relazioni.

Secondo Schnell, il significato nella vita si basa su quattro dimensioni:


  • Coerenza – Vedere un filo nelle proprie esperienze e obiettivi. In musicoterapia, ad esempio, un’“autobiografia musicale” aiuta a comprendere come la musica ci ha plasmati.

  • Importanza – Sentire che le proprie azioni contano. La musica può essere centrale o secondaria, ma quando fa parte dell’identità, la sua assenza lascia un vuoto.

  • Orientamento – Avere una direzione e un progetto. Impegnarsi nella musica significa scegliere, concentrarsi e trovare una felicità più profonda.

  • Appartenenza – Sentirsi “a casa nel mondo”. La musica favorisce connessione sociale ed esistenziale, riducendo l’isolamento esistenziale.


Motivazione e moderazioneIl significato nella vita influisce sulla salute in due modi principali: motiva e protegge.

  1. Motivazione – Chi trova la vita significativa si prende più cura di sé. La musica, ad esempio, può dare energia e concentrazione, favorendo comportamenti che migliorano il benessere. Sentirsi motivati da qualcosa di importante aiuta a resistere meglio allo stress.

  2. Moderazione – Il senso di significato attenua l’impatto degli eventi negativi. Le difficoltà diventano parte di una storia più grande, rendendo le persone più resilienti e capaci di affrontare gli ostacoli senza esserne sopraffatte.


Studi mostrano che chi vive una vita significativa è meno stressato, più ottimista e socialmente integrato, con benefici anche fisici come migliore variabilità del battito cardiaco e sistema immunitario più forte. Avere uno scopo può persino ridurre il rischio di mortalità.

Un elemento chiave è l’auto-trascendenza, cioè andare oltre se stessi verso gli altri o il mondo. La musica può facilitare questa esperienza: nei momenti di forte connessione musicale le persone spesso sentono di far parte di qualcosa di più grande, un fenomeno che Hartmut Rosa chiama “risonanza”, con effetti terapeutici e di significato profondo. Hartmut Rosa, ad esempio, racconta come il suo genere musicale preferito, l’heavy metal, abbia avuto per lui una funzione trascendentale.


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RisonanzaLa teoria della risonanza di Hartmut Rosa ci aiuta a capire come la musica possa rendere la vita più significativa. Rosa descrive la risonanza come un modo di stare nel mondo fatto di relazioni vere, emotive e reciproche con le persone, le attività e l’ambiente che ci circonda. È l’opposto dell’alienazione, quando ci sentiamo scollegati, indifferenti o sopraffatti dal mondo intorno a noi.


Rosa osserva come lo sviluppo rapido in economia e tecnologia ci faccia vivere in corsa e sotto stress, peggiorando spesso la qualità della vita. In altre parole, la società moderna può allontanarci dalla possibilità di vivere bene. Come sociologo, Rosa ci mostra come le strutture sociali influenzino la nostra capacità di costruire una vita piena di senso.

Il concetto di “stabilità dinamica” di Rosa riguarda il fatto che dobbiamo sempre crescere e aumentare le nostre risorse per restare al passo con lo sviluppo economico. Tutto deve andare più veloce: dobbiamo fare un po’ di più ogni anno. È come scendere da una scala mobile che va sempre più veloce: se ci fermiamo, torniamo indietro. Questo ritmo accelerato riguarda economia, tecnologia, società e cultura. Rosa spiega che la crescita richiede altra crescita, e ci sentiamo intrappolati in un ciclo in cui dobbiamo aumentare il ritmo, produrre di più, vivere più velocemente. Tutto ciò può farci sentire mai abbastanza e favorire il burnout.


L’accelerazione caratterizza la modernità: trasporti più veloci, mezzi di comunicazione rapidi, cambiamenti culturali continui. Tutto ci fa correre, ci porta a fare multitasking e a sentirci sempre senza tempo. La tecnologia ci impone di stare aggiornati: nuove app, modi diversi di comprare biglietti, gestire operazioni bancarie, usare programmi, accedere a servizi essenziali. Finisce che spesso facciamo prima quello che è urgente e non quello che è importante. Più viviamo veloce, meno tempo sentiamo di avere.

Rosa dice che vivere a ritmo veloce non è negativo di per sé, ma lo diventa quando ci porta all’alienazione. Questo significa sentirsi distaccati, freddi, incapaci di entrare in rapporto con il mondo. L’alienazione ci fa sperimentare una separazione dolorosa dalle persone e dalle situazioni.


Temi come isolamento sociale, solitudine, perdita di potere, sofferenza emotiva e crisi esistenziali sono oggi molto rilevanti per la salute. Questi aspetti — insieme a concetti come vitalità, agency, appartenenza e senso della vita — mostrano quanto le sfide attuali vadano oltre le malattie legate allo stile di vita. La società di oggi è complessa e intreccia salute, benessere, relazioni e vita quotidiana.


La soluzione sta nella “risonanza.” La risonanza significa vivere relazioni profonde con il mondo, in cui persone e ambiente si influenzano e trasformano reciprocamente. Nasce da incontri autentici che toccano davvero chi siamo. Non può essere forzata: succede solo quando le interazioni sono genuine e sincere.


Il concetto di risonanza è spesso usato in senso romantico, come se parlasse di un desiderio profondo. Rosa dice che, in effetti, queste idee romantiche mostrano qualcosa di universale: tutti desideriamo vicinanza, appartenenza, pienezza, significato e trasformazione.

Per Rosa, la risonanza è una relazione con il mondo dove noi e ciò che ci circonda ci incontriamo e ci cambiamo a vicenda. Succede quando siamo emotivamente coinvolti, rispondiamo in base ai nostri interessi e sentiamo di poter influenzare ciò che accade. La risonanza è una connessione viva e reciproca, non un semplice eco.


Tre Assi

Rosa parla di tre “assi di risonanza” o “linee di connessione,” che chiama anche “sfere di risonanza,” e che ci aiutano a capire come entriamo in relazione con il mondo. Il primo asse è orizzontale e riguarda le connessioni quotidiane: la famiglia, gli amici, la vita politica e comunitaria. Qui si trovano le possibilità più immediate di risonanza, i momenti in cui sentiamo di essere davvero ascoltati o compresi dagli altri.

Il secondo asse di risonanza include tutto ciò che riguarda oggetti, lavoro, scuola, sport e consumo. Questi collegano le linee orizzontali con quelle verticali, perché in queste attività cerchiamo pratiche orientate a obiettivi: impariamo qualcosa, produciamo, partecipiamo a un risultato concreto.


Gli assi verticali invece riguardano la nostra relazione con cose più grandi, come la religione, la natura, l’arte e la storia. Sono sfere che spesso sentiamo “superiori” o persino “trascendenti,” perché ci aprono a dimensioni più vaste della vita, come il divino, il cosmo, il tempo o l’eternità. Qui possiamo proiettare desideri e domande profonde dell’umanità, trovare senso e significato in qualcosa che va oltre il nostro quotidiano. Attraverso arte, ideologie o rituali possiamo sfidare la realtà così com’è e sentirci parte di qualcosa di più grande.


Quando questi assi di risonanza restano silenziosi, può comparire il burnout o la depressione. Rosa si interessa molto a capire cosa blocca l’accesso a queste connessioni. L’accelerazione della società moderna favorisce l’alienazione, che è l’opposto della risonanza. L’alienazione si manifesta come un rapporto con il mondo freddo, silenzioso, rigido, senza vera connessione. È una relazione senza relazione. Può nascere da un senso di sé ferito, da situazioni sociali o da oggetti che non favoriscono la risonanza, o dal disallineamento tra noi e una parte del mondo. In questi momenti, gli assi di risonanza sembrano muti, e ci sentiamo tagliati fuori dagli altri e dalle situazioni.


Commenti finali

La teoria della risonanza di Rosa è molto utile per chi lavora in musicoterapia. Mostra come una relazione profonda e risonante con la musica possa diventare un elemento importante per la nostra salute esistenziale, un vero e proprio “antigene culturale” che aiuta a migliorare la qualità della vita. Questa esperienza non avviene nel vuoto: si sviluppa sempre in contesti sociali, culturali o politici, collegando la musicoterapia al pensiero sociologico.

Questo sostiene l’idea del “health musicking” quotidiano: la musica come pratica di salute nella vita di tutti i giorni, un modo per prendersi cura di sé e degli altri, e per promuovere il benessere nella società. In base a questo, è naturale considerare la musica come parte integrante della psicologia della salute. Sarebbe molto interessante vedere studi su larga scala che mostrino in dettaglio come il “health musicking” quotidiano possa davvero influenzare la nostra salute e il nostro benessere e dare cosi un contributo alla salute pubblica.

 


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